Degli undici principi che guidano il derviscio Naqshbandi verso
la sua realizzazione spirituale, otto furono coniati da Khwaja Abdul
Khaliq al Gujdawani (-1220).
Gli ultimi tre principi furono aggiunti dal Gran Maestro Shah Bahauddin Naqshband (1318-1389).
1) La consapevolezza del respiro (Hosh dar dam)
In persiano hosh significa «mente», dar «dentro» e dam «respiro».
Shah Bahauddin Naqshband disse: «Il nostro ordine è basato sul respiro. Bisogna prendersene cura, dall’inspirazione all’espirazione».
Siamo prima di tutto esseri che respirano. Il respiro è il veicolo
dell’energia. Lo spirito divino è entrato dentro di noi quando abbiamo
inspirato per la prima volta. La realtà divina è in connessione con il
respiro ed il battito del cuore.
Dio ci ha dato ogni cosa ma noi continuiamo a cercarla fuori. Ciò è
comprensibile, perché tutti i nostri sensi sono orientati verso l’esterno.
Eppure esiste qualcosa che non ci abbandona mai: il respiro.
Ad osservare Maulana, non lo sorprendevi mai a compiere movimenti
bruschi e concitati, qualunque cosa stesse facendo. Egli era sempre
nel flusso perfetto dell’azione, perché era sempre in connessione con il
respiro.
Nessuno Sheikh realizzato è mai inconsapevole di un solo respiro.
Esso è il filo sottile che collega tutti i maestri, tutte le tradizioni e ci
permette anche di connetterci con i nostri antenati.
La nostra anima è stata creata con un soffio e con un ultimo soffio ci
verrà presa. Iniziare a prendere consapevolezza della propria respirazione
significa compiere metà del cammino che porta al dominio della mente.
Non perdere neppure un respiro è la chiave.
Anche la meditazione Vipassana raccomanda di osservare il respiro.
Un tempo era facile farlo, il silenzio regnava nel mondo esteriore e in
quello interiore ma, nelle attuali condizioni di vita, per entrare in quel
processo è necessario un tempo assai più lungo. Dopo pochi minuti i
pensieri hanno il sopravvento e l’attenzione verso il respiro sfuma.
Il cammino Naqshbandi parte dalle cose facili, veloci, universali,
che sono accessibili a tutti: invita per prima cosa a concentrarsi sulle
proprie funzioni vitali basilari.
Quando inspiriamo diciamo dentro di noi: «Inspiro», e quando
espiriamo: «Espiro». Oppure possiamo ripetere: «dentro» e «fuori».
Quando la percezione è stabile possiamo non dirlo più.
Trovare il ritmo del respiro significa essere nel momento. Il momento
è la porta sul mondo dell’anima.
Chiunque può seguire questa pratica, ovunque si trovi, in qualunque
momento. La mente è la superficie e sarà sempre increspata dalle
onde, ma bastano già solo venti minuti, due volte al giorno di respirazione
consapevole e la mente si placherà. I benefici psico-fisici di questa
pratica sono attestati da varie ricerche scientifiche.
Negli esercizi più complessi si opera anche sulla pausa che intercorre
tra inspirazione ed espirazione, così come sulle posizioni del corpo,
delle mani e della lingua.
Si arriva a unire il respiro al dhikr, come si fa con le parole e la musica
di una canzone. Inspiriamo e, nella pausa, ripetiamo il Nome divino per
ventuno volte all’unisono con il battito cardiaco, sino a che la frequenza
accelera diventando una vibrazione continua. Come tutti gli esercizi di
respirazione, anche questo va eseguito sotto il controllo di una guida.
(da: S. Burhanuddin Herrmann, “IL SUFISMO. Mistica, Spiritualità e pratica, Armenia, seconda edizione 2015, Milano)