3) Il viaggio interiore (Safar dar watan)
Significa «viaggiare verso la propria terra natale». In persiano e in arabo sàfar vuol dire «viaggio». Nella tradizione chiamiamo tutti sàfari, «viaggiatori», poiché la destinazione comune del nostro viaggio attraverso l’esistenza è fare ritorno a casa. Non è un’evoluzione verso qualcosa bensì un tornare alle nostre origini. Per questo la Via sufi è chiamata anche «La Via del ritorno».
Dobbiamo guardare dentro di noi, volgerci verso l’origine di ogni cosa.
Quando dormiamo dove andiamo? Da nessuna parte, non esistiamo più, ci addormentiamo dentro al nulla. Non possiamo dire con esattezza dove siamo stati durante il sonno.
Per questo il derviscio al risveglio come prima cosa dice: “Alahmdulillahil ladhi ahyana ba’da ma amatana wa’ ilayhin nushur” (Lode ad Allah che ci dona la vita dopo averci dato la morte e a Lui è il Ritorno).
In quel profondo oceano del nulla ha origine tutta la vita e noi dobbiamo familiarizzare con esso perché lo dovremo affrontare al momento della morte.
Nel nostro cammino diciamo «tutto scompare», la ilaha, ma aggiungiamo ill’Allah, «eccetto Dio» e la Sua Bellezza.
Il viaggio che la nostra anima deve affrontare non è solitario; è costituito da una carovana in cui le diverse qualità specifiche di ognuno si fondono. Questa è la gioia del viaggio verso casa.
Nella carovana prende parte chi sa trovare le tracce sulla sabbia, chi ha il fiuto per trovare l’acqua, chi sa cucinare e via di seguito. Poi ci sono quelli che non sanno fare nulla ma sono felici. La loro vocazione è bere il tè ed essere gioiosi e amorevoli qualunque cosa accada. Questi sono i dervisci.
Per questa loro amorevole gioia sono amati. Non saranno i nostri meriti, i talenti e neppure il credo, a farci entrare nel Giardino. Sarà la quantità di gioia e di amore che avremo emanato in vita.
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